Un minibus passa a prenderci all'hotel di Bagan per portarci fino al nuovo hotel a Mandalay. Questa maniera di viaggiare, più cara rispetto al bus normale che abbiamo preso da Yangon a Bagan, è quella più proposta dagli hotel quando cerchi informazioni sui mezzi di trasporto per la prossima destinazione. Non è per forza quella più sicura, visto che i conduttori dei minivan sono spesso dei pazzi furiosi che clacsonano a tutto spiano sorpassando in curva o quando un frontale col tir di fronte è un'eventualità molto probabile e spesso sfiorata per un pelo. Abbiamo l'impressione che gli spostamenti dei turisti sono tutti registrati qui in Birmania, ogni volta che arriviamo in un albergo fanno una fotocopia del nostro passaporto e controllano la validità del visto. Non tutti gli alberghi poi possono ospitare turisti, quelli che lo fanno devono rispettare tutta una serie di norme burocratiche. A seconda della tappa, gli spostamenti sul posto dei turisti sono poi limitati dalla possibilità di poter affittare una bici, uno scooter elettrico o una moto. Alcune zone fuori dal circuito turistico classico sono accessibili solo con dei permessi speciali. Mandalay è una tappa rapida. Ancora stanchi dalle escursioni all'alba a Bagan, usciamo dall'hotel sempre tardi per andare a scoprire la città a piedi. Qui è più incasinato di Yangon, i marciapiedi sono rari e la circolazione più selvaggia. Camminando vediamo diverse scene abbastanza tipiche al mercato delle pietre preziose, dove uomini negoziano il prezzo di gemme cercando di valutarne il valore con lampade e lenti di ingrandimento, mentre altri le intagliano tenendo con le dita i microscopici sassi con la lama dello smeriglio che ronza pericolosamente vicino. Si gioca anche d'azzardo tra un bicchierino e l'altro con un gioco che include il lancio di conchiglie in una ciotola, generando un suono molto particolare e onnipresente. Ai mercati poi assaggiamo dei dolci tipici al sesamo e ammiriamo la capacità di riciclaggio di copertoni tramutati in cesti e recipienti diversi. Attraversiamo un quartiere povero, con gente che si lava e fa il bucato con l'acqua non proprio cristallina del fiume ricoperto di spazzatura. Malgrado la miseria evidente tutti ci sorridono e ci sentiamo in sicurezza. Sbuchiamo nel campus del monaco estremista, sembra quasi un'università, il livello di vita dei monaci ci appare superiore alla norma a cui abbiamo appena assistito per strada. Mentre camminiamo sentiamo un ritmo inconfondibile che abbiamo già sentito in un documentario. Degli uomini in fila martellano senza sosta su una pila di fogli che separano delle scaglie d'oro, i fogli sono avvolti in due fasce di cuoio creando una specie di scatola pronta a essere massacrata a colpi di martello. Con il loro lavoro estenuante spalmano l'oro duttile creando dei fogli impalpabili e stranamente appiccicosi, che delle donne ritagliano per farne dei quadratini da vendere. I fedeli li acquisteranno nelle pagode per poi andare ad appiccicarli sulla statua di Budda. L'ultimo giorno facciamo un'escursione a Mingun attraversando il fiume in traghetto. In molti vivono ancora attorno al fiume in baracche di legno, i bimbi giocano sulla spiaggia mentre le madri fanno il bucato e lo fanno asciugare per terra. Sbarcando siamo accolti da dei taxi quantomeno originali: carri trainati da buoi! Passiamo la maggior parte del tempo alla bella e particolare pagoda a forma di torta alla crema. È già ora di rispostarci verso il lago Inle!