Ci svegliamo presto per prendere un treno dalla valle di Fergana in direzione di Samarkand, con un cambio alla capitale Tashkent. Iniziamo a incontrare gente meno simpatica della valle di Fergana, probabilmente sintomo del fatto che stiamo entrando nella zona più turistica. Il viaggio in treno è infinito, senza aria condizionata quindi con i finestrini aperti, ogni tanto incrociamo dei treni che trasportano carbone e riaprendo gli occhi tra le nostre sieste ci riscopriamo coperti di briciole nere. All’arrivo a Samarkand ci dirigiamo in centro con una coppia di tedeschi che è arrivata fin qui via terra, tra autostop, tenda e couchsurfing, tanto di cappello! La nostra homestay è in un quartiere popolare in centro, che la municipalità ha deciso di nascondere dietro a grandi muri, in modo da separarlo dalle (poche) stradine ordinate in cui circolano dei trolley elettrici. Per fortuna la disneyficazione per ora ha raggiunto solo una minima parte della città e il casino e la vita vera regnano sovrani sulla maggior parte di essa. Le strade del nostro quartiere sono segnate da tubi di gas sospesi e divise al centro dalle canalette delle fogne a cielo aperto, ma anche piene di piazzette con alberi in cui il vicinato si ritrova per chiaccherare e dove giocano i bimbi. La sera del nostro arrivo ci sgranchiamo le gambe andando fino al Registan, dicono che sia il monumento più impressionante di tutta l'Asia centrale, dove aspettiamo un sacco di tempo una proiezione di luci colorate deludente. L'indomani mattina ci torniamo per pagare l'ingresso e una guida lampo che ci dice due cosettine prima di eclissarsi. Non che potessimo stare molto di più, Jade si sente male e torniamo in hotel. Il bisogno ci porta a scambiare con la famiglia dell'hotel che si rivela molto simpatica, permettendoci di cucinare del riso in bianco e delle uova sode. Vado a fare spesa per prendere gli ingredienti per la nostra ricetta gourmet. I dipendenti del supermercato si stupiscono del fatto che pur essendo un turista voglia cucinare anziché andare al ristorante. In più lo faccio addirittura per mia moglie!? Dopo una giornata k.o. con la febbre Jade riesce di nuovo a uscire e riprendiamo le visite. Andiamo al cimitero monumentale, ma non troviamo l'ingresso ufficiale e entriamo attraverso il cimitero attuale risparmiando il prezzo del biglietto. Scontiamo la pena pagando l'ingresso della moschea principale a cui avremmo potuto accedere senza pagare ma ci facciamo fregare sbagliando di porta. Scopriamo delle piante di gelso dalle more succose in un parco, e assistiamo alla preparazione di un'infornata di samsa dall'inizio alla fine scambiando quattro chiacchere coi fornai. La tecnica di cottura consiste nell'incollare sulle pareti del forno caldo i fagottini di pastasfoglia ripieni di carne, il che significa infilarsi dentro un forno caldissimo quando la temperatura ambiente si aggira già sui 35°C. Una volta incollati tutti i fagottini si accende il gas per terminare la cottura, e quando sono pronti si recuperano dalla parete con una specie di pala! Cerchiamo di organizzarci per il resto del nostro soggiorno in Uzbekistan perché se vogliamo continuare a spostarci in treno non c'è tanta scelta di orari e giorni. Scopriamo così l’altro volto degli uzbechi, simpaticissimi in molte circostanze ma senza pietà quando si tratta di fare la fila. La dura verità ci piomba addosso mentre aspettiamo per prendere un gelato, dopo aver faticosamente difeso il nostro posto arriviamo di fronte al cameriere, ma un tipo urla qualcosa da dietro di noi e il cameriere si precipita a riempire una coppella con palline di gelato. Forse non esiste una maniera più spudorata di saltare la fila. Io sono totalmente sbalordito da tanta nonchalance, e dal fatto che il cameriere eseguisca senza nessun problema malgrado non riesca nemmeno a intravedere colui che ha appena ordinato visto che è basso e completamente dietro di noi. Ma Jade ricorda a tutti che ci siamo prima noi, a cameriere e altro cliente, decidiamo che il gelato appena preparato è per noi, sequestrato, qualsiasi gusto abbia chiesto il signore, solo per principio. Tanti sforzi e non è neanche buono. Subito dopo questo episodio dobbiamo affrontare un'altra fila alla stazione dei treni. Arriviamo per coincidenza in corrispondenza del cambio di personale. Le persone che attendono si sparpagliano e si siedono, noi invece scegliamo uno sportello e ci piazziamo davanti, aspettando un quarto d'ora che la nuova impiegata prenda il posto del precedente. Quando è pronta non siamo più soli, la folla ci ha identificati come elementi deboli e facilmente sorpassabili e oltre a quelli che spingono da dietro una signora spinge sul gomito sinistro di Jade e un tipo si appoggia al mio destro. Per marcare il territorio abbiamo sparpagliato sul bancone i nostri passaporti e il tablet per mostrare che treni vogliamo comprare. Ma nell'attesa le mani sudano e per le prime parole la voce trema! Probabilmente una sensazione simile a quella del centometrista che attende lo sparo che darà inizio alla corsa. Acquistare un biglietto di treno non è mai stato così stressante! Ce la siamo comunque giocata bene e ripartiamo coi quattro biglietti necessari fino alla fine del nostro soggiorno uzbeco, tra gli sbuffi dei presenti, rei di averli fatti attendere troppo. Lo stress non è ancora finito, l'indomani saliamo sul tram che porta in stazione, ma dopo 10 minuti vediamo gente che lascia il suo posto e scende, vado a chiedere al tipo dei biglietti. Non c'è elettricità! Dobbiamo trovare rapidamente un piano B per non perdere il treno. Prendiamo un taxi condiviso che dopo alcuni ingorghi e aver trasportato a destinazione altri passeggeri ci lascia in stazione ancora in tempo per il treno diretto a Bukhara. Arriviamo che fa un caldo atroce, con la brezza abbiamo l'impressione di avere un enorme asciugacapelli che ci soffia addosso. Facciamo un giretto trovandoci a pensare che è la prima volta che ci troviamo in un posto che corrisponde talmente tanto all'immaginario del deserto con queste strade polverose dello stesso colore degli edifici ocra, e l'aria secca e caldissima. Qui è il mio turno di essere malato, febbre alta e gastroenterite mi stendono, visto che abbiamo un solo giorno sul posto, mi trascino comunque fuori al mattino e la sera quando le temperature sono più clementi, ma non faremo nessuna visita interna agli edifici. È già ora di andare a prendere il treno per Khiva, arriviamo in stazione con largo anticipo. Anche se parte tra un'ora i dipendenti della ferrovia insistono moltissimo per farci salire sul treno. Ignoriamo tre esortazioni e quando mancano una ventina di minuti ci muoviamo. Il treno è sotto il sole e la temperatura nel treno dev'essere sui 45°C, nel giro di qualche minuto siamo coperti di gocce di sudore. Mistero svelato, il treno è mezzo vuoto e stanno proponendo di pagare un supplemento per accedere alla prima classe con l'aria condizionata, ecco perché volevano farci salire così in anticipo, sperando di persuaderci col caldo. Quando partiamo, l'aria condizionata inizia a funzionare anche nel nostro vagone e in mezzoretta la temperatura diventa accettabile. Scendiamo a Urgench, il centro da cui normalmente si accede a Khiva via taxi o tram. Ma siamo gli unici turisti a scendere, abbiamo la sensazione che questo era uno dei pochi treni che ci avrebbe portato direttamente a Khiva centro, la cui stazione ferroviaria è molto recente e di cui si trovano poche informazioni. Ci attende quindi una piccola epopea per raggiungere il nostro hotel a Khiva fuori centro: camminata fino al tram, tram di un'ora seguito da una camminata ancora più lunga fino all'hotel. Anche la scelta dell’hotel si rivela un flop, con una localizzazione lontana dal centro che ci obbliga a fare almeno due andate e ritorno al giorno per rintanarsi durante le ore più calde visitando mattino e sera. Unico punto positivo, passeremo qui diversi giorni e l'ultima notte cambieremo per stare in un hotel in centro, riuscendo quindi bene o male a visitarla. La città è bella ma molto edulcorata sulle strade e piazze principali, l'hanno pulita così tanto che sembra che in centro non ci viva più nessuno. Ci occupiamo con visite, angurie e chiaccherate coi venditori di souvenir, che sono spesso molto simpatici e per niente insistenti. C'è da dire che i prezzi sono molto elevati, i tour organizzati di pensionati europei hanno probabilmente portato a un'inflazione. Prendiamo comunque un susani, un enorme tessuto ricamato in seta con motivi tipici. Il lavoro di ricamo si perpetua di generazione in generazione, ogni donna lascia una piccola parte incompleta per permettere alla successiva di continuare. Come tutte le tradizioni però, si sta perdendo, e la gente ha iniziato a svendere questi pezzi di storia alle boutiques di souvenirs. La nostra avventura in Uzbekistan è quasi finita, riattraversiamo il paese in una ventina d'ore per fermarci nuovamente a Fergana, dove siamo accolti ancora una volta da Sardar, che ci fa un grosso sconto sulla stanza. Passiamo una giornata intera sul posto e andiamo a visitare il bazar di Margilan. Prendiamo un minibus guidato da Mohamaddin, un giovane simpaticissimo che non vuole farci pagare la corsa, e con cui prendiamo qualche foto. Più tardi gliela manderemo via whatsapp e per tutta risposta ci manda una sfilza di messaggi vocali in russo di cui mi è sembrato di capire che ci invita a un matrimonio non so dove né quando! Da Margilan prendiamo un bus per Rishton, durante il tragitto chiacchieriamo con un simpatico signore coi baffi. Arrivati a destinazione, mentre cerchiamo un centro di ceramica, una sconosciuta ci chiama per regalarci una piccola ceramica, così. Torniamo da alcuni artigiani che avevamo conosciuto al nostro primo passaggio e compriamo un grande piatto di ceramica, già immaginando che grattacapo sarà trasportarlo integro fino a casa. Segue una visita di fabbrica di mosaici, con opere davvero impressionanti. La valle di Fergana non avrà niente di speciale, ma la gente è formidabile, siamo contenti di esserci rifermati qui. Riprendiamo diversi bus per tornare a Osh, in Kirghistan, sembriamo essere gli unici turisti che vanno verso la frontiera oggi, tutti ci guardano e molti ci chiedono da dove veniamo, come va, siete sposati et. tutto rigorosamente in russo. In un bus un giovane ci invita addirittura a scendere per prepararci un riso pilaf a casa sua, ma pur trovando l'invito molto gentile ho già la testa come un pallone e non ho nessuna voglia di passare ancora qualche ora a gesticolare per trasmettere le informazioni più semplici, quindi declino a malincuore l'invito. Sullo stesso bus, Jade si fa studiare da una signora vicina di posto in maniera divertente ma probabilmente un po' invasiva secondo canoni europei. Timbro di uscita uzbeco stampato sul mio passaporto, passo allo sportello kirghiso dove l'ufficiale mi chiede se in quanto italiano abbia bisogno di un visto. È raro dover dare questo tipo di informazioni a un ufficiale di frontiera!