Dopo aver scelto di andare in Birmania il 31 dicembre e aver ottenuto un e-visa per direttissima, il nostro volo Phnom Penh - Yangon con scalo a Bangkok decolla il 4 gennaio. Oltre al visto portiamo dei dollari da cambiare a causa della fantomatica scarsezza di distributori nel paese, per il resto siamo alquanto impreparati alla nostra nuova destinazione, al posto di un piano abbiamo solo un buon presentimento. Presentimento che si tramuterà in un vero colpo di fulmine, e che raddoppierà il nostro soggiorno da 15 a 30 giorni! La sensazione in questo paese è stata quella di viaggiare più vividamente, conoscendo usi e costumi che non avevamo ancora mai visto, assaggiando cibi molto particolari, con il bonus di andare in giro sentendoci sempre in sicurezza, aumentato dalla simpatia della gente sorridente. Nell'hotel dove alloggiamo non solo si fanno in quattro per ogni nostro bisogno ma sono anche basati in una zona tipicissima con mercato popolare che opera non-stop. Il mercato è incasinato ma ha un suo ordine e un fascino non indifferente. La presentazione dei prodotti è sempre ordinata e curata, una differenza che salta agli occhi dopo la Cambogia. Donne e bambini hanno sempre rigorosamente il tanaka sul viso, una polvere di legno gialla che spalmano creando dei disegni più o meno originali. Molti visi in strada ci colpiscono per la loro bellezza elegante e esotica. Ai nostri sguardi curiosi ne riceviamo altri carichi di altrettanta curiosità divertita, e il contatto visivo termina sempre con un sorriso o un saluto. Gli uomini portano raramente il tanaka dopo l'adolescenza, ma in compenso hanno sempre il longyi, un pareo tradizionale chiuso con un nodo alla vita, da cui spesso vediamo sbucare il portafogli dietro la schiena. Una brutta abitudine quasi universale tra gli uomini è il consumo di betel insieme al fumo, che dona loro denti intartrati di rosso e sorrisi poco rassicuranti a prima vista. Brutta abitudine non solo per la loro salute, ma anche per le scatarrate sonore e gli sputi per terra o dentro sputacchiere. Nelle osterie popolari si fuma e si beve tè dai thermos disponibili gratuitamente su ogni tavolo, si comprano sigarette sfuse per poi farsele accendere dal cameriere o prendendo in prestito uno dei tanti accendini che ciondolano da fili legati al tetto. I piatti sono giganteschi e a buon mercato, oltre agli evergreen tipo zuppa e riso fritto si servono anche delle insalate di foglie fermentate di tè, insalate allo zenzero e soprattutto molta roba fritta. Le insalate le proveremo più avanti, per ora proviamo il fritto tra samosa, bein mont e altri pancake dolci alla banana o con frutti canditi e spesso mooolto unti. Inutile dire che le scoperte culinarie iniziano a pesarci sullo stomaco dopo qualche giorno. Durante le camminate a Yangon notiamo come molti edifici dispongano del proprio gruppo elettrogeno, sintomo dei black-out frequenti. Gli edifici danno spesso un'impressione di trascuratezza. La circolazione lungo grandi viali è abbastanza calma, si guida a destra ma molte auto hanno il volante a destra! A Yangon in particolare poi chissà perché non ci sono scooter né tuk-tuk... Altra particolarità sono i bidoni d'acqua con rubinetti e bicchieri in libero servizio per chiunque abbia sete, messi a disposizione da enti privati e pubblici. Immagino che sia una roba buddista, osserviamo che sono molto generosi anche con gatti e cani randagi e persino coi piccioni, che sembrano tutti belli in carne. Malgrado alcune moschee e templi induisti, il paese è a maggioranza buddista e fare l'elemosina è molto accettato e considerato una cosa normale, chi dona migliora il suo karma. I numerosissimi monaci e suore (ogni birmano presta servizio per qualche anno sia da bambino che durante l'adolescenza) non possono lavorare, e il resto della società provvede quindi a sfamarli e dissetarli, trasportarli con tanto di sedie riservate solo per loro (poi si può guidare come un pazzo, pare che i monaci portino fortuna), e gli dà pure qualche soldo. File di monaci o suore girano per le strade e per i mercati con dei recipienti per raccogliere offerte, che possono essere anche in natura, tipo una manciata di riso. La maggioranza dà ma ci è capitato di vedere gente che li ignora, non sappiamo perché. Il sistema non è perfetto ed esistono parecchie derive. Alcuni monaci girano con la caratteristica toga color bordeau e Iphone in mezzo alla miseria più profonda. Uno ci abborda quasi tipo venditore ambulante alla pagoda principale di Yangon per consigliarci un itinerario turistico senza che gli chiediamo nulla, per poi farci capire che ha bisogno di soldi. Le suore, vestite di rosa, sono meno riverite rispetto agli uomini perché essere uomo é comunque meglio anche qui. Per finire con la peggior deriva di tutte, il venerabile W, monaco di Mandalay, fomenta l'odio per i musulmani e sostiene e giustifica la giunta militare attualmente al potere. I riflettori internazionali tengono d'occhio la nazione e il numero di turisti occidentali è diminuito. Abbiamo constatato questa inflessione nelle parole della gente del posto durante il nostro soggiorno. Ci siamo ritrovati in piena alta stagione senza dover pagare il fatto di non avere riservato nulla, gli hotel che di norma erano completi avevano ancora molte disponibilità. Purtroppo il prezzo della nostra fortuna è elevatissimo. Una volta sul posto abbiamo ricercato i dettagli della situazione e ciò che pensavo essere una "semplice" tensione tra gruppi etnici si è rivelato più simile a un genocidio organizzato. Il governo militare birmano perseguita i rohingya, una minoranza musulmana discendente da lavoratori del Bangladesh portati qui a suo tempo come manodopera dagli inglesi. Questa popolazione, dopo essere stata discriminata per generazioni, ora si trova di fronte un governo che dopo averli privati della cittadinanza birmana ha addirittura deciso di sterminarli, e manda l'esercito a compiere veri e propri attacchi ai danni dei loro villaggi, stuprando le donne e uccidendo chiunque, perfino i bambini. Quasi un milione di persone si è rifugiato in Bangladesh dove vive in campi in condizioni precarie. I birmani che lavorano nel turismo guardano con apprensione la diminuzione dei turisti occidentali. Smettere di andare a visitare il paese potrebbe quindi essere una maniera effettivamente efficace di fare pressione sul governo, o forse solo di affamare coloro che vivono di turismo... noi ci siamo posti questi interrogativi solo una volta sul posto, a seguito della nostra ricerca. Un sentimento contrastante emerge quindi pensando a questo paese, dalla popolazione sorridente e autentica e che si è dimostrata gentilissima nei nostri confronti regalandoci un'esperienza unica, e leggere che magari una buona parte sostiene le azioni del governo militare in nome della razza e della religione... Se veniamo a conoscenza di questi fatti solo attraverso internet, di una cosa certamente siamo testimoni diretti: il buddismo pervade la vita della gente comune, la sua bandiera multicolore sventola su mezzi di trasporto e in strada talmente spesso che cessiamo di farci caso. Un esempio di quanto i suoi riti siano praticati dalla comunità lo abbiamo durante la visita alla Shwedagon pagoda, che è piena zeppa di locali che fanno di tutto di più: alcuni mangiano in famiglia o parlando con dei monaci, altri cantano mantra di fronte a piccoli altari, c'è chi medita in silenzio con un mala in mano (rosario orientale), un coro di bimbi canta canzoni sacre. La pagoda è composta da decine di edifici, siamo in una specie di parco con zone più o meno sacre e frequentate. Intorno alla pagoda più grossa ci sono diverse statue di Budda per ogni giorno della settimana, la gente va a pregare versando dell'acqua sulla statua del giorno corrispondente, o quella del giorno di nascita di una persona cara a cui vogliono augurare il meglio. La sera viene ancora più gente, alcuni prendono delle scope e formano un fronte per spazzare il pavimento all'unisono, altri preparano delle candele ad olio lungo tutto il perimetro della struttura principale e le suore iniziano a cantare.

Dopo questa breve ma intensa tappa a Yangon, il personale gentilissimo del nostro hotel ci aiuta a organizzare il nostro viaggio verso Bagan: prenotazione del bus su sito locale senza sovraprezzo, organizzazione del taxi che ci recupera il mattino seguente e addirittura sveglia all'alba per prepararci la colazione prima che partiamo. Il taxi ci porta alla "stazione" di Yangon, un vero e proprio quartiere dove stazioni private e altri commerci si mischiano su strette stradine sterrate occupate da decine di bus, inutile dire che da soli senza sapere leggere il loro alfabeto e col livello generale di inglese inesistente avremmo probabilmente perso il bus! L'ufficio della stazione è molto folkloristico, con un gallo che canta rinchiuso in un cesto. Eccoci in rotta per Bagan!